“ La paura dei malati di SLA? Non poter più comunicare”

Non poter più comunicare” PC, smartphone e telefoni aiutano chi non riesce a parlare.

Sclerosi laterale amiotrofica. Il nome desta inquietudine già da solo, perché i malati affetti da questa patologia, sanno che la malattia non farà sconti e anzi, in poco tempo li porterà a non potersi più muovere ed esprimere.

Da 10 anni l’associazione sclerosi laterale amiotrofica Svizzera italiana (ASLASI) collabora con diverse figure professionali per fornire aiuto a questi malati.

Negli ultimi anni, grazie agli sforzi di persone E si impegnano costantemente nell’ambito Bella tecnologia al fine di migliorare le possibilità comunicative dei malati, si sono ottenuti risultati che permettono a paziente, Anche quando ha perso l’uso Bella parola, di mantenere il contatto con l’esterno.

Il non poter esprimere le proprie necessità, anche semplicemente il fatto di avere sete o male a un arto, è qualcosa di terribile.

Ne parliamo con Michela Pedersini, presidente di ASLASI, per capire quanto gli ausili tecnologici siano di aiuto ai malati di SLA, migliorando la loro qualità di vita fino agli ultimi stadi.

Signora Pedersini, qual è la sua esperienza con le tecnologie applicate alla sclerosi laterale amiotrofica? In che modo questi mezzi possono essere utili e malati?

“Bisogna partire parlando della frustrazione di questi malati. Un paziente affetto da SLA che purtroppo non può più esprimersi, si ritrova incapace di comunicare e quindi si sente maggiormente tagliato fuori dal mondo.

Questo aspetto si aggiunge alla malattia e provoca, appunto nel paziente, un senso di frustrazione perché non sempre riesce a farsi capire dai familiari e dalle persone che lo circondano.

Vi sono malati che assistono impotenti ai discorsi tra vari interlocutori che rispondono  in loro vece come se  nemmeno fossero nella stanza……. Proviamo a metterci nei loro panni”

Ecco il motivo per cui le tecnologie sono utilissime, diventando addirittura indispensabili. Come funzionano?

“ I mezzi di comunicazione sono fondamentali e possono essere un tablet, un pc, o uno smartphone. Si tratta perlopiù di strumenti sui quali scaricare delle applicazioni che contengano al loro interno frasi pre-registrate come: ho fame, ho sete, mi sento stanco, mi fa male la gamba, mi bruciano gli occhi. In altri casi ripetono frasi scritte dal paziente stesso, dando quindi voce ai pensieri del malato.

Grazie alla domotica comandata dagli apparecchi che ho descritto, il malato ha la possibilità di accedere alla propria casa con un gesto: accendere o spegnere la luce, aprire una porta, accendere un impianto stereo o la televisione.

La tecnologia al servizio dell’utente gli permette, non solo di comunicare con chi gli sta vicino, lo stato d’animo in cui si trova, ma anche di rimanere quanto più autonomo possibile”

 Quanto è importante per questi malati rimanere autonomi e sentire di non dipendere in tutto e per tutto dai propri cari?

“ In questi pazienti che già vivono con l’assillo della malattia l’autonomia non solo è importante, ma fondamentale. Le paure sono tante  e diverse: hanno il terrore di non riuscire a comunicare, di non riuscire ad avvisare quando stanno male; a questo si aggiunge la fatica nel respirare o quant’altro. I mezzi tecnologici sono molto utili anche da un punto di vista psicologico, perché forniscono una maggiore sicurezza.

I telefoni collegati con un sistema di allarme possono essere adoperati anche sotto la doccia, per esempio; nel caso di pazienti che non riescono più a utilizzare le mani, esistono addirittura campanelli che, posti sotto il cuscino, permettono al malato di contattare parenti o infermieri in caso di necessità.

Ci sono anche sistemi oculari i quali, tramite un puntatore, consentono la scrittura su uno schermo che al contempo dà loro voce”

In base alla sua esperienza, quali sono le più grandi  paure di questi malati?

La sclerosi laterale amiotrofica porta alla morte per soffocamento: una cosa tremenda che non può non fare paura. I pazienti affetti da questa malattia sono lucidamente consapevoli dei limiti temporali che la malattia gli impone e della velocità con la quale i sintomi si sviluppano: sanno di avere poco tempo a disposizione. Da qui nasce l’esigenza di avere a disposizione mezzi ausiliari per comunicare il più velocemente possibile. Il tempo passa inesorabilmente e quindi l’importanza di riuscire a esprimere concetti, emozioni, necessità, risulta vitale per tutti i pazienti ma soprattutto per quelli affetti da SLA, che peggiorano con una velocità spaventosa”

In che cosa l’ha arricchita il contatto con questa tipologia di malati? Quali aspetti ha potuto apprezzare maggiormente di questo suo impegno?

“In questi anni abbiamo potuto apprezzare la voglia di normalità che spinge i malati a mantenere l’autonomia e la fame di vivere. Persone che tramite l’umorismo, la fotografia, la pittura, cercano e riescono a esprimere i loro stati d’animo a condividerli  con le persone  con le quali interagisco”

Quali pazienti l’hanno colpita di più e perché?

“ Ricordo una signora amante della fotografia che, accompagnata dal figlio nelle sue passeggiate con una sedia motorizzata, osservava la natura e che faceva scatti che raffiguravano animali: alla fine è riuscita anche a riunire il materiale per realizzare un libro. Ricordo anche una pittrice che, attraverso i suoi quadri, dipingeva la voglia di vivere e che, pur se costretta sulla sedia rotelle, cercava di esprimere  quello che avevo dentro.

Ho conosciuto un paziente che con la propria sedia rotelle, si destreggiava tra i tavoli  di  un ristorante suonando il clacson  mettendo la freccia così da suscitare l’ilarità dei commensali. Per non parlare di quei pazienti che hanno voluto dare un contributo partecipando all’Ice Bucket Challenge.  Mi ha impressionato molto un paziente grande sportivo che, malgrado la malattia e a dispetto di essa, ha voluto scendere a piedi da Cardada (monti di Locarno); indossava dei semplici sandali”

 

  Cosa vede Michela Pedersini in quei momenti? E che cosa si porta a casa?

“ In quel momento non mi sembra di vedere uomini o donne ammalati, ma persone che vogliono vivere malgrado la malattia.

Non che siano illusi, sono perfettamente consapevoli di quello che stanno passando, ma questo non intacca minimamente la loro fame di vita, che è veramente enorme. In quei momenti sono loro che dicono alla malattia come comportarsi e non viceversa, Trovo questa cosa straordinaria e non manca di commuovermi ogni volta”

Articolo pubblicato il 16 aprile 2016 sul quotidiano “Corriere del Ticino” nella rubrica: primo piano intervista a Michela Pedersini